Egidio
Il cammino dal dono del midollo alla guarigione e poi la pensione
Sono stato ricoverato all’ospedale papa Giovanni XXIII di Bergamo per un trapianto di midollo durante la prima ondata di pandemia covid. Il ricovero genera una certa ansia che aumenta con la consapevolezza della non breve degenza. Non è faticoso rimanere in stanza chiuso da solo, con la finestra sigillata onde evitare qualsiasi contagio esterno, ma aumenta la sensibilità nei confronti dei famigliari, sorge la preoccupazione e quindi il dispiacere che siano loro a star male e non io.
Sembra di vivere un paradosso,
la percezione di dover soffrire col trapianto del midollo, con il rischio di non guarire, o anche di morire e nel contempo l’esser preso dall’ottimismo e con la convinzione di guarire. Nei primi giorni inizia la preparazione al trapianto con la chemioterapia, subito gli effetti collaterali non si avvertono, ma si sa che arriveranno e bisogna prepararsi con serenità, non è facile. Come si fa ad essere sereni quando sai che ti dovrai concentrare su ciò che sta per succederti e quindi tutte le priorità e i pensieri, persino gli affetti della vita quotidiana, vanno in secondo piano. Passa qualche giorno e cominci a restare inchiodato nel letto con doppio cuscino, così puoi guardarti intorno e vedere le quattro mura della stanza che delimitano il tuo orizzonte. Nel corpo sono inseriti due cateteri venosi per le continue infusioni di farmaci. A portata di mano rimane il pulsante rosso necessario per avvertire l’infermiera che una flebo è terminata e in quel momento ti illudi piacevolmente, come se tutto stia per finire, invece il flacone vuoto viene sostituito da un altro e poi un altro ancora e la pazienza diventa una virtù, il dolore fisico, ma non imponente, lo sopporti meglio quasi come un’abitudine rassegnato. Dopo l’infusione del liquido con cui viene impiantato il nuovo midollo i valori del sangue crollati con la chemioterapia, dovranno iniziare a risalire.
Ti sembra di essere un bambino appena nato,
il corpo è molto debole, cala l’appetito, servono anche endovenose come nutrimento e lo stato d’animo diventa positivo solo quando il corpo manifesta dei miglioramenti. Quindi fai il tifo per i tuoi organi interni più bersagliati dalle cure (fegato, milza, reni, cuore), che non hai mai visto, ma credi di conoscere, li immagini con le loro forme, la loro ubicazione nell’organismo e il momento più bello è quando arriva a metà mattina il medico con l’infermiere e le apparecchiature per visitarti, perché è in lui che poni le speranze, nelle sue parole che consideri più di tutte.
Mi sento un privilegiato per aver avuto la possibilità attraverso la malattia di riflettere a fondo e anche nel silenzio, su cosa può significare la sofferenza fisica e allora ti senti d’improvviso così vicino, così solidale con chi soffre molto per malattia o per condizioni sociali disagiate e ti viene di pregare per loro.
Senti di amare tutto ciò che ti circonda, non solo le persone che vedi,
che ti vogliono bene, ma anche le loro parole, l’inflessione bergamasca, così anche i suoni, i rumori, le immagini, gli odori, ti rimangono impressi dentro e non te ne liberi più. Poi accetti volentieri i messaggi sul cellulare, qualche telefonata, per quel che riesci a rispondere, di persone che si ricordano di te e dopo circa un mese di decubito, consideri un grande successo il riuscire a fare i primi passi ancorato allo scorrimano di un corridoio. Non ti senti più come in una morsa dove il male fisico potrebbe anche prevalere, avverti che l’isolamento sta per finire, sei dimagrito, completamente glabro, ma la speranza della guarigione sta diventando realtà e arriva la dimissione dall’ospedale, pur col vincolo di frequenti controlli per alcuni mesi. Un immenso riconoscimento va a mia moglie Patrizia che mi ha sempre aiutato e incoraggiato. Non smetterò mai di esprimere infinita gratitudine al mio donatore di midollo che per legge rimane anonimo, ma è colui che col suo gesto mi ha salvato la vita, non lo dimenticherò. Faccio appello affinchè più persone si convincano che iscriversi nelle associazioni di donatori di midollo osseo, è un atto di amore che solo chi accetta di farlo, può immaginare quanta gioia gli possa derivare dalla consapevolezza di aver permesso ad un’altra persona di continuare a vivere e ce n’è tanto bisogno.
Adesso dopo aver svolto con tanta passione la mia professione di veterinario, sono in pensione e mi capita di sognare il mio lavoro negli allevamenti, di discutere sul benessere animale e dell’utilizzo del farmaco veterinario, so di aver ricevuto e dato tanto, mi sento bene, non ho più il tumore. Consiglio vivamente a chi in conseguenza di patologie oncologiche, gli venga proposto dai medici di eseguire il trapianto di midollo osseo, di accettare con fiducia tale percorso difficile, ma oggigiorno così tanto promettente per un esito fausto.
Egidio







