#La Storia Più Bella

Beatrice ed il suo “angelo terreno”

Nei sogni di una ragazza di 19 anni c’è un futuro di soddisfazioni e conquiste. Ho conosciuto Fabrizio proprio a quell’età, mio coetaneo, ragazzo pieno di vita e progetti. Grande cuore, appassionato di musica e il grande orgoglio del cappello da paracadutista. Famiglia che mi accolse con amore, di cui feci parte volentieri.
Presto però le cose cambiarono perché Fabrizio iniziò a non star bene. Sul suo corpo comparì un eritema nodoso e le sue analisi erano totalmente sballate. Ricoverato d’urgenza, dopo qualche giorno arrivò la diagnosi: leucemia mieloide acuta. Diagnosi che fu una botta terrificante per tutti noi, soprattutto per la sua famiglia! Arrivò la paura dell’ignoto e, con lei, il timore di perderlo. Chemioterapia, i capelli che cadono, ma l’amore che restava. Ci furono diversi ricoveri, alcuni dei quali terrificanti, perché il dolore che provava durante certe “manovre” era immenso. Non riuscivo ad ascoltare le sue urla strazianti. Cercavo di riempirlo di affetto nelle fasi in cui lo lasciavano a riposo, per alleviare quelle sofferenze incredibili.
Era una situazione davvero folle per due ragazzi della nostra età, ma si sa, non c’è età per queste cose. Quello che c’è però è l’autenticità dei sentimenti, che viene meno per opportunismo o per paura di vivere certe situazioni. I mesi passavano e non si trovava un donatore utile, provarono anche con l’autotrapianto senza successo. Ingenuamente chiamai ADMO offrendomi come donatrice ma giustamente mi spiegarono che non funzionava così… Nella fretta non diedi la mia disponibilità in generale anche per altre persone ma questo fu provvidenziale perché poi in seguito non avrei potuto donare nemmeno il sangue. Passammo un’estate divertente trascorsa in campeggio, lui indossava sempre il cappellino perché era perennemente calvo ma felice, perché il nostro rapporto andava a gonfie vele! Quanto è importante avere accanto un affetto disinteressato e sincero! Nella malattia fa tutto! Se non tutto, almeno la metà della cura! Purtroppo però Fabrizio iniziò a peggiorare sempre di più, il donatore non è mai stato trovato, non c’era tempo, non c’erano i presupposti, era destino e così, dopo sei lunghissimi mesi di calvario, in piena estate e appena ventenne morì nel letto della sua camera, piena di poster di para’ e di foto nostre. Non mi dilungo nello spiegare come morì, il dramma dentro di me fu devastante, non ho ancora sufficienti forze mentali per ricostruirlo, fu una situazione surreale e impossibile da descrivere. Quello che posso dire è che fu tra le mie braccia, la sua famiglia presente come sempre, ma non riuscivo ad immedesimarmi nei cuori di quella mamma e di quel papà che l’avevano perso per sempre. …ci salvò solo la fede. Anche la sorella subì uno shock immenso, perché vedere il proprio fratello morire in un modo così assurdo fa male da … morire!
Prima di andarsene Fabrizio mi disse che ero brava a “curare” le persone e mi fece promettere che avrei fatto di tutto per lavorare in un ospedale . Così feci. Mantenni la promessa e subito dopo la sua morte venni assunta in una clinica. Passarono due anni e io mi impegnai come a voler riempire tutto quel dolore ma non avendo “elaborato il lutto” a dovere, iniziai a bere ed a buttarmi in divertimenti poco sani. Diventai ribelle a tutto, non accettavo più niente, ce l’avevo col mondo intero ma soprattutto con Dio. Volevo farla finita e non mi importava per niente di me stessa.
Volevo distruggermi. E quasi ci riuscii!
Mi ricoverarono in ospedale dopo analisi di routine, perché avevo tremila piastrine e analisi totalmente fuori fase. Avevo sporcato di sangue tutta la divisa del lavoro, non stavo in piedi ed ero piena di petecchie in tutto il corpo. In ematologia mi presero per i capelli ma non riuscivano a capire cosa avessi. Dopo esami ed un ago aspirato dolorosissimo al midollo osseo, ipotizzarono una leucemia. Come mi sentii dopo quella possibile diagnosi .. non lo so descrivere . So solo che fu un trauma incredibile soprattutto dopo aver vissuto la mia peggior esperienza. Oltretutto non capivo come avesse avuto un senso, visto che replicare una patologia non contagiosa era impossibile. A salvarmi da questo dubbio arrivò la vera diagnosi, che suonò come parole incomprensibili: trombocitopenia idiopatica autoimmune. Mi stavo appunto .. distruggendo da sola! Seguirono due anni di ricoveri e day-hospital con infusioni di immunoglobuline, trasfusioni di sangue e plasma, cortisone con dosi da cavallo che mi fecero prendere 30 kg di peso.
In questa grande sofferenza fu sempre l’amore a salvare dalla patologia.
Quello del mio attuale marito, che come un angelo, mi supportò e aiutò per tutto l’intero percorso. Se non ci fosse stato lui, non sarei più in vita. Avevo una forza distruttiva dentro di me che era più potente di qualsiasi altra cosa. I miei genitori fecero l’impossibile per farmi avere le migliori cure e per farmi ridere il più possibile per uscire da me stessa. La mia rinascita iniziò grazie a tutti questi fattori e anche alla generosità dei donatori di sangue e plasma e dei donatori di midollo che erano in lista quando Fabrizio era malato, e anche se nessuno l’ha salvato io so che qualcuno avrebbe potuto farlo, chi diventa volontario diventa angelo terreno, oltre a salvare una vita fisica può salvare anche un’anima!
Beatrice

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