#La Storia Più Bella

Mattia, MAI mollare!

“Fino a 31 anni la mia vita è stata quella di un giovane della mia età: il lavoro, le uscite con gli amici, la mia famiglia, la mia casetta da single a Milano, la palestra tre volte alla settimana. Una vita spensierata. Fino al 4 giugno 2017: un sabato che non potrò mai dimenticare. La sera prima ero uscito. Ero stato a casa di amici fino alle due di notte, a ridere e a scherzare. Una serata piacevolissima. Stavo benissimo. Solo poche ore prima, mai avrei potuto immaginare quello che stava per accadermi.”

A causa della malattia dell’allenatore del Bologna Calcio, Sinisa Mihajlovic , negli ultimi mesi si è molto parlato di leucemia e nei giorni scorsi di trapianto. L’ospedale Sant’Orsola di Bologna ha infatti diffuso una nota in cui veniva resa nota la notizia che il giorno 29 ottobre, Mihajlovic era stato sottoposto a un trapianto di midollo.

Proprio per questo penso sia arrivato il momento di raccontarvi la mia storia…

Mattia Boffi Valagussa, 33 anni, ha accettato di raccontare la sua testimonianza di malato affetto da leucemia mieloide acuta. Un racconto drammatico, ma anche ricco di umanità e di incontri positivi: come i medici dell’ospedale San Gerardo di Monza e dell’associazione Luce e Vita onlus, che lo hanno aiutato a guarire. La sua testimonianza ha lo scopo di essere un messaggio positivo per chi è malato e ora magari sta vivendo il suo stesso calvario.

“La mattina, mi sono svegliato con un forte cerchio alla testa. Avevo la febbre, il mal di gola e un forte raffreddore. Ho l’influenza, pensai. Mi misi al caldo, tra le coperte del mio letto e presi l’antibiotico. Devo guarire, pensai. La notte successiva, fu drammatica: ebbi forti perdite di sangue e mi spaventai moltissimo. Dopo aver chiamato i miei genitori, decisi insieme a loro di andare al pronto soccorso dell’ospedale di Carate Brianza, per un controllo. Speravo di cavarmela in fretta. Ma il verdetto dei primi esami fu un colpo al cuore: nel mio sangue c’era un valore di 180mila globuli bianchi (una persona sana ne ha circa 11mila). I medici non mi nascosero la verità: il pericolo era che avessi la leucemia. Mi consigliarono il trasferimento all’ospedale San Gerardo di Monza: il migliore e il più attrezzato per le cure di cui avevo bisogno. Ricordo che rimasi molto colpito dalla mia reazione. In quell’istante solo io sapevo la verità sulla mia salute. Avevo sempre pensato di avere poco coraggio e che, di fronte a un problema così, avrei perso la testa. Invece, ero stranamente tranquillo. Sentivo dentro di me una forza interiore enorme, e il desiderio di affrontare la malattia e di guarire. Feci chiamare i miei genitori che per mio volere erano rimasti in sala d’attesa. Quando arrivarono, il medico disse loro tutta la verità. Scoppiarono in lacrime, erano disperati. Non io. Anzi, ricordo che ripresi ingenuamente mia madre, dicendole che non era il caso di fare scenate. Mi sarei curato e sarei guarito…

..ingenuamente pensavo che di leucemia non si muore”

“Oggi, posso guardare a quei giorni difficili con la serenità di chi può dire ce l’ho fatta. E aggiungere: in quei primi giorni di malattia, ero un incosciente. Nel senso che non mi rendevo conto pienamente del pericolo che stavo correndo. Tutto sommato, una fortuna. Il mio solo pensiero era: guarire. Ed ero certo che ce l’avrei fatta, con tutto quello che avevo da fare non potevo mica fermarmi li a lungo. A ispirarmi tanta fiducia erano i medici che ho incontrato. Persone e non solo specialisti straordinari, la dottoressa Valentina Baldini, oppure la dottoressa Luisa Verga,  o il professor Enrico Pioltelli. Furono loro a prepararmi ad affrontare un percorso che era ancora lungo, doloroso e difficile. Con tanti ostacoli ancora dietro l’angolo. Non immaginavo di certo che i giorni di ospedale alle fine sarebbero stati 153.

Certo i momenti veramente duri ci furono sin dall’inizio. La perdita dei capelli fu uno shock, fu una delle pochissime volte che piansi, finalmente sbattevo contro un muro, anche davanti allo specchio ora ero malato. La bilancia fu inclemente sin dall’inizio; in pochissimi giorni arrivai a perdere più di 10 kg. “

“Furono loro a dirmi in modo chiaro come stavano le cose: nonostante la mia giovane età e un fisico forte , le cure non bastavano. Era necessario procedere a un innesto di midollo osseo per eliminare la forte componente di recidività delle malattia.. Non mi nascosero nulla: nemmeno il fatto che non era affatto certo che il trapianto andasse a buon fine. E le possibilità non erano nemmeno così alte: avevo solo il 50 per cento di farcela. Devo dire che in quel momento ebbi paura. Quando me lo comunicarono erano le 10 di sera e da circa 15 giorni avevo ogni giorno la febbre, quella notte sudai talmente tanto che la mattina dopo la febbre era sparita.

Per la prima volta, capii con lucidità che avrei potuto morire.

Un pensiero che davvero mai prima di allora aveva occupato la mia mente.. Penso di essere stato anche fortunato, vuoi per i miei compagni di avventura, ma anche perché come “giovane” venivo coccolato parecchio da medici e infermiere.”

“Anche in quel momento, però, a prevalere fu l’ottimismo e la voglia di farcela. Ma anche le parole e l’incoraggiamento costante dei medici che mi stavano curando. Ricordo in particolare le parole di un medico:“Tu sei il paziente modello, perché hai una grande forza interiore e segui con fiducia e dedizione tutte le cure che ti prescriviamo.” In verità avevo talmente fiducia in loro che se mi avessero detto che stando un ora al giorno in piedi su una gamba sola sarei guarito, lo avrei fatto. Da testardo ero deciso a prendermi delle piccole rivincite quotidiane sullo stravolgimento della vita ospedaliera, decisi infatti che di giorno non sarei mai rimasto in pigiama, mi lavavo e vestivo ogni mattina; computer, tablet e telefono furono una delle compagnia delle giornate.”

“Da subito mi dissero che il donatore andava cercato nella banca mondiale non avendo io fratelli o sorelle, e che i numeri di compatibilità erano circa 1 donatore su 100.000 iscritti. Fu uno dei momenti in cui ebbi più paura…….e se il mio donatore compatibile non c’è?…..Ricordo ancora il giorno in cui arrivò la notizia dal direttore del registro italiano di Genova, Nicoletta Sacchi, che era stato trovato un donatore per me. Un giovane di XXXX*, della mia stessa età,compatibile al 99% che accettò di donare il suo midollo per me. Di nuovo affrontai il lungo percorso di preparazione: dieci giorni tosti, fatti di chemioterapia pesante: era necessario cancellare ogni traccia del mio midollo, per far spazio a quello che mi sarebbe stato regalato dal mio donatore.

E poi, il giorno in cui il nuovo midollo è stato impiantato. Era il XX settembre 20XX*:

un giorno che non dimenticherò mai finché vivrò (e che mi permette di festeggiare due compleanni con relativi regali).”

“Il giorno dopo, ricordo che stavo malissimo. L’operazione era riuscita perfettamente, ma un trapianto non è uno scherzo. Nei primi giorni, il corpo ha continue crisi di rigetto che vanno immediatamente tamponate, meno crisi ci sono più sarà alta la possibilità di riuscita. Il corpo non riconosce qualcosa di estraneo che è ora presente e che deve trovare il proprio spazio per moltiplicarsi. Senza parlare della parte psicologica. Dal giorno del trapianto sapevo che sarei dovuto rimanere all’incirca 25 giorni in isolamento, giorni in cui sei completamente sprovvisto del tuo sistema immunitario. Venticinque giorni davvero difficili, in cui ogni giorno chiedi quanti globuli bianchi sono nati nel tuo corpo, zero, zero, zero, poi iniziano dieci, venti, cento…

arrivi addirittura a parlare con il tuo corpo incitandolo a produrre qualcosa,

nella speranza di arrivare ai fatidici 800 globuli bianchi, soglia minima che ti permetterà di uscire e di tornare a casa, sempre in una campana di vetro, ma almeno a casa. I miei sono stati 24 giorni esatti, 24 giorni in isolamento, 24 giorni in cui vedi i tuoi familiari da un vetro e puoi parlare con loro solo tramite un citofono, 24 giorni in cui medici e infermieri entrano nella tua stanza il meno possibile perché tu sei di cristallo, 24 giorni in cui ti sembra che appoggiare la tua mano sul vetro, contro quella di tua madre o di tuo padre ti dia coraggio. Ancora una volta, non potrò mai dimenticare la dottoressa Elisabetta Teruzzi, la mia trapiantologa, che pazienza che ha avuto!! Pochi mesi dopo, nascono @lepiuaffascinantidimilano; era il momento in cui volevo raccontare qualcosa che mi piacesse veramente, e non lo nego, all’inizio necessitavo di trovare un qualcosa che mi appassionasse e mi impegnasse durante le lunghe giornate di ripresa. 100 giorni dopo il trapianto puoi iniziare a condurre una vita, a incontrare qualche persona, a togliere finalmente quella terribile mascherina verde che involontariamente catalizza su di te gli occhi delle persone.

Ora sono guarito. Posso dire di essere nato per la seconda volta.”

Mattia Boffi Valagussa, 33 anni e tutta una vita davanti a me!

 

*dati criptati a tutela della legge sulla privacy

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